martedì 10 febbraio 2009

Riduzione di personale

La riduzione del personale, in un’ottica di riorganizzazione aziendale, giustifica il licenziamento di quei dipendenti in soprannumero che svolgono in concreto mansioni non più essenziali in rapporto alla rimodulata organizzazione produttiva dell’azienda.

Il datore di lavoro, nel dimostrare l’impossibilità di impiegare i lavoratori licenziati in altre mansioni, non deve dare conto dei criteri di redistribuzione seguiti perché frutto di una scelta imprenditoriale insindacabile dal giudice.

La Corte ha confermato un verdetto d’appello, che aveva ritenuto legittimo il licenziamento di un dipendente di una società di spedizioni causato dall’esigenza di una riorganizzazione dell’assetto aziendale, necessaria per porre fine alla crisi economica in cui versava da tempo l’azienda.

Cassazione civile , sez. lav., 13 ottobre 2008, n. 25043

venerdì 30 maggio 2008

Forma del licenziamento

La forma scritta del licenziamento è prevista a pena di nullità, pertanto, a norma dell’art. 2 l. 15 luglio 1966 n. 604 sia l’intimazione del licenziamento che la comunicazione dei relativi motivi (ove il lavoratore ne abbia fatto richiesta) debbono, a pena di inefficacia rivestire la forma scritta.

E' irrilevante una intimazione e una contestazione espresse in forma diversa come pure la conoscenza che il lavoratore ne abbia altrimenti avuto.

Ai fini del risarcimento del danno, da determinarsi in base alle regole generali sull’inadempimento delle obbligazioni contrattuali, non è necessario che il lavoratore costituisca in mora il datore di lavoro, mediante l’offerta delle prestazioni, occorrendo tuttavia che il lavoratore non abbia tenuto una condotta incompatibile con la reale volontà di proseguire il rapporto e di mettere a disposizione del datore le proprie prestazioni lavorative.

Cassazione civile , sez. lav., 18 maggio 2006 , n. 11670

Contestazione disciplinare

I motivi contenuti nella lettera di contestazione non possono essere modificati in giudizio.

Tuttavia, non occorre che siano specificati tutti i relativi elementi di fatto e di diritto, essendo sufficiente l'indicazione della fattispecie di recesso nelle sue circostanze di fatto essenziali.

Non corso del giudizio, il datore di lavoro non può modificare i motivi posti alla base del licenziamento, tuttavia è libero di poter precisare i fatti e le circostanze.

Cassazione civile , sez. lav., 04 dicembre 2007 , n. 25270

giovedì 29 maggio 2008

Licenziamento e contestazione disciplinare

Una simile contestazione disciplinare può ritenersi specifica?

"Ai sensi e per gli effetti di cui all'art.7 legge 20 maggio 1970, n.300, nonché della regolamentazione disciplinare collettiva ed aziendale, le contestiamo quanto segue: -imperizia ed incuria nello svolgimento del proprio lavoro; - comportamento scorretto ed inappropriato nei confronti della clientela; - aggressione verbale nei confronti di un responsabile aziendale......".

Il Tribunale di Bari (sent. 12/6/2007) risponde negativamente.

Si legge nella sentenza:

Nell'atto introduttivo il P.G. ha dedotto la genericità ed inattendibilità degli addebiti, nonché la sproporzione della sanzione del licenziamento rispetto al fatto contestato.
Sul punto occorre premettere che, secondo l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza si richiede, nell'esercizio del potere disciplinare, il rispetto, a pena di nullità, del requisito della specificità della contestazione, in base al quale l'atto necessario per l'apertura del procedimento disciplinare "deve avere ad oggetto i fatti ascritti al lavoratore, cioè i dati e gli aspetti essenziali del fatto materiale posto a base del provvedimento sanzionatorio, così da consentire un'adeguata difesa dell'incolpato" (Cass. 3 novembre 1997, n. 10760). L'elemento della specificità si lega sia all'immutabilità del fatto contestato (al datore di lavoro è precluso di far valere, a sostegno delle determinazioni disciplinari, circostanze nuove, che non abbiano formato oggetto di preventiva contestazione: Cass. 16 luglio 1998, n. 6988), sia alla garanzia del diritto di difesa del lavoratore, nel senso che questi può difendersi in maniera analitica, circostanziata ed efficace, solo se è in grado di individuare l'infrazione contestata (Cass. 17 novembre 1984, n. 5876).
L'accertamento circa l'effettiva sussistenza del requisito della specificità, che, costituendo indagine di fatto, è rimesso al giudice di merito, ed è incensurabile in sede di legittimità se sostenuto da adeguata motivazione, ha esito positivo, secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza, qualora l'esposizione dei dati e degli aspetti essenziali del fatto materiale sia chiara e precisa, anche se non analitica (Cass. 19 marzo 1992, n. 3404; Cass. 28 marzo 1996, n. 2791), e consenta di individuare facilmente e in maniera univoca l'infrazione, al fine del compiuto esercizio del diritto di difesa (Cass. 8 ottobre 1992, n. 10955; Cass. 27 febbraio 1995, n. 2238).
Laddove siano soddisfatti tali elementi, non sono richieste, per la perfezione della contestazione, né particolari formalità (Cass. 7 gennaio 1998, n. 67), né l'indicazione delle norme, legali o contrattuali, che si assumono violate (Cass. 9 aprile 1990, n. 2940; Cass. 23 febbraio 1991, n. 1937; Cass. 30 agosto 1993).
La motivazione del licenziamento deve essere quindi sufficientemente specifica e completa, ossia tale da consentire al lavoratore di individuare con chiarezza e precisione la causa del suo licenziamento sì da poter esercitare un'adeguata difesa svolgendo ed offrendo idonee osservazioni o giustificazioni, dovendosi ritenere equivalente alla materiale omissione della comunicazione dei motivi la comunicazione che, per la sua assoluta genericità, sia totalmente inidonea ad assolvere il fine cui la norma tende (cfr. Cassazione civile, sez. lav., 20 maggio 2002, n. 7316).
Tale principio, tuttavia, vale nel caso in cui sia il lavoratore stesso a richiedere, all'esito della contestazione, la comunicazione dei motivi (cfr. sent. n. 7316/2002 cit.) e non anche nel caso in cui, come quello in oggetto, il lavoratore non chiede di conoscere detto motivi.
L'art. 2 della legge n. 604 del 1966, infatti, stabilisce che "l''imprenditore deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro.
Il prestatore di lavoro può chiedere, entro otto giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno determinato il recesso: in tal caso l'imprenditore deve, nei cinque giorni dalla richiesta, comunicarli per iscritto.
Il licenziamento intimato senza l'osservanza delle disposizioni di cui ai precedenti commi è inefficace.".
Nel caso di specie, se è vero che gli elementi indicati nella lettera di contestazione non sono affatto sufficienti per l'individuazione, in maniera inequivoca, dell'infrazione posta a fondamento del licenziamento, è anche vero che il P.G. non ha chiesto chiarimenti in merioi, sicché si deve ritenere che egli fosse a conoscenza di tali elementi, tant'è che ha esercitato il suo diritto di difesa nella lettera di giustificazioni del 2.8.2005.
Tuttavia, osserva il Giudice che, quanto all'episodio di "imperizia ed incuria nello svolgimento del proprio lavoro" contestato al ricorrente, la società nella memoria di costituzione nulla di specifico ha dedotto; né è stato possibile ammettere la prova sul punto (cfr. capitolo sub a della memoria), trattandosi di capitolo generico e non relativo a fatti specifici.
Quanto agli ulteriori capitoli di prova, la resistente ha chiesto di provare circostanze nuove (sottrazione di beni aziendali, utilizzazione di beni ed infrastrutture aziendali in orario lavorativo per scopi personali e in concorrenza con l'oggetto sociale, utilizzo di auto aziendale in orari extralavorativi, cancellazione di dati dal sistema informatico della società) che nulla hanno a che fare con la contestazione.
Stesso discorso vale per i documenti esibiti, tesi a dimostrare lo svolgimento, da parte del ricorrente, di attività concorrenziale durante il rapporto di lavoro per cui è causa.
La società, costituitasi, non ha affatto supplito alle deficienze motivazionali, ma addirittura ha fatto valere una fattispecie giustificativa totalmente diversa da quella prima prospettata, da ciò derivando la tardività e la novità della deduzione.
Nulla, poi, la resistente ha chiesto di provare in merito al contestato "comportamento scorretto ed inappropriato nei confronti della clientela" ed alla "aggressione verbale nei confronti di un responsabile aziendale"; nessuna circostanza di tempo, di luogo, né l'indicazione delle persone coinvolte in tali episodi.
In assenza di prova della fondatezza degli addebiti, il licenziamento per cui è causa, quindi, deve essere dichiarato illegittimo.
Quanto al tipo di tutela (reale od obbligatoria) accordabile nella fattispecie, si osserva che con la recente sentenza delle Sezioni Unite n. 141 del 10 gennaio 2006 (che ha posto fine alla lunga querelle a livello giurisprudenziale in merito alla differente interpretazione dell'art. 18 della legge cit.) la Cassazione ha affermato che spetta al datore di lavoro, e non al lavoratore, provare l'insussistenza del cd. requisito dimensionale ai fini della non applicabilità della "tutela reale" del lavoratore con la conseguente reintegrazione nel posto di lavoro prevista dall'art. 18 della legge n. 300/1970 (principio ribadito dalla recente Cass. n. 13945 del 16 giugno 2006).
In merito ad un aspetto tecnico-processuale "dimenticato" dal legislatore, ma di primaria importanza per il lavoratore, il quale non si accontenta di un mero risarcimento pecuniario, ma vuole essere reintegrato nell'impresa presso cui lavorava.
L'aspetto in questione concerne appunto l'onere di provare il numero dei dipendenti dell'organizzazione datrice di lavoro, prova non proprio agevole per il dipendente che non necessariamente si trova in possesso dei dati relativi al numero degli occupati dell'azienda, né potrebbe facilmente acquisirli, a differenza del datore di lavoro.
Tanto premesso, deve darsi atto che il resistente ha comprovato, come era suo onere, di non avere alle sue dipendenze più di 15 dipendenti (v. libri matricola; depositati in data 25.5.2007), la domanda di reintegra non può essere accolta.
In applicazione dell'art. 8 della l. n. 604/66 il resistente è invece tenuto a riassumere il ricorrente nel termine di 3 gg. o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo pari - considerato il numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti- a 4 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
Le spese seguono la soccombenza ex art. 91 cpc e si liquidano in dispositivo.


P.Q.M.
Definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da P.G. con ricorso depositato in data 9.12.2005 nei confronti della srl ......., così provvede:
1) dichiara la illegittimità del licenziamento del ricorrente;
2) ordina alla resistente di riassumere il ricorrente entro il termine di 3 giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo pari a 3 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto;
3) condanna il resistente al pagamento delle spese di lite in favore del ricorrente, che liquida in complessive euro 1200,00, di cui euro 750,00 per onorari, oltre IVA e CAP come per legge, che distrae in favore del procuratore anticipatario.
Bari, 12.6.07
Il Giudice del lavoro

mercoledì 28 maggio 2008

Licenziamento durante il periodo di prova

Il rapporto di lavoro costituito con patto di prova è sottratto, per il periodo massimo di sei mesi, alla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, ditalchè il recesso del datore di lavoro nel corso del periodo di prova ha natura discrezionale e, come tale, dispensa il datore dall'onere di provarne la giustificazione.

Tuttavia l'esercizio del potere di recesso deve essere coerente con la causa del patto di prova, che consiste nel consentire alle parti del rapporto di lavoro di verificarne la reciproca convenienza.

Pertanto non è configurabile un esito negativo della prova, e l'eventuale licenziamento non è riconducibile alla recedibilità ad nutum del rapporto di lavoro in prova, qualora la durata dell'esperimento non risulti adeguata ad accertare la capacità lavorativa del prestatore in prova, sul quale incombe il relativo onere probatorio.

Cassazione civile , sez. lav., 13 settembre 2006, n. 19558

martedì 27 maggio 2008

Sospensione della prestazione per trasferimento illegittimo

In ipotesi di trasferimento illegittimo, il lavoratore, nei limiti di cui all'art. 1460 c.c., può opporre eccezione di inadempimento e rifiutarsi di attenersi alla disposizione aziendale, anche qualora non abbia nel contempo promosso azione giudiziaria per l'impugnazione del trasferimento stesso; in tal caso il successivo licenziamento per assenza ingiustificata sarà a sua volta illegittimo.

Cassazione civile , sez. lav., 25 luglio 2006, n. 16907

Licenziamento ed assenza ingiustificata

In materia di provvedimenti disciplinari a carico del lavoratore, l'art. 7 della legge n. 300 del 1970 stabilisce che nessuno di tali provvedimenti può essere assunto senza previa contestazione dell'addebito.

Ne consegue che, in caso di licenziamento disciplinare intimato per assenza ingiustificata dal lavoro che superi il numero di giorni di assenza previsto dal c.c.n.l. (tre nel caso di specie,), il datore di lavoro ha l'onere di indicare specificamente nell'atto di contestazione tutti i giorni di assenza, non potendo essere computate, qualora la contestazione sia relativa ad un solo giorno, le ulteriori assenze del lavoratore intercorse tra la data di invio e quella di ricezione della contestazione medesima.

Cassazione civile , sez. lav., 20 luglio 2007, n. 16132